Il Trasporto Pubblico tra riforme, DDL, concorrenza e investimenti

Il settore TPL ha inseguito a lungo e faticosamente la stabilità del quadro normativo e sembrava averla raggiunta con il DL 50/2017 e con la Delibera ART 154/2019, provvedimenti con i quali si è puntato, da un lato, ad agire sul terreno del perseguimento di obiettivi di efficacia ed efficienza nella gestione dei servizi, dall’altro a dettare una disciplina in materia di pianificazione dei servizi più moderna e tarata sulle peculiarità del settore di riferimento. Oggi servirebbe poter raccogliere i frutti di questa stabilità, muovendo dall’attuazione di questi provvedimenti: la revisione dei criteri di riparto del fondo non è ancora partita e le misure di regolazione introdotte con la Delibera ART 154/2019 risultano applicabili ad un novero di contratti di servizio davvero residuale. Ci sarebbe bisogno di un intervento sul fronte della semplificazione e del riordino sistematico, piuttosto che di una riscrittura ex novo delle regole del gioco, magari provando ad intervenire chirurgicamente su alcuni punti critici: l’eccessiva frammentazione delle competenza amministrative in materia di programmazione dei servizi e la coesistenza – talvolta apertamente contraddittoria – delle vecchie disposizione del decreto Burlando con le successive del decreto 50/2017.

Il DDL concorrenza non coglie queste esigenze e desta non poche perplessità. Innanzitutto ritroviamo l’idea più volte sperimentata in passato, senza particolari successi, di inglobare il TPL nella normativa applicabile agli altri servizi pubblici locali, non cogliendo i plurimi elementi di specificità. Basti pensare che il TPL rappresenta uno dei settori nei quali è intervenuta una definizione dei costi standard (D.M. 157/2018), che costituiscono un punto di riferimento anche nel riparto delle risorse del fondo nazionale e nella determinazione della provvista dei contratti di servizio. Lo stesso dicasi per gli ambiti territoriali ottimali di servizio (ATO), materia sulla quale è intervenuta una disciplina specifica – quella dei bacini di mobilità – e che ha visto un dettagliato intervento dell’Autorità di regolazione dei trasporti, proprio per tenere conto delle esigenze peculiari del trasporto pubblico. Non da ultimo, tra le specificità del settore non può non considerarsi il regolamento europeo n. 1370/2007, che disciplina le forme di affidamento con carattere di unitarietà in tutta l’Unione. Su questo tema, ogni intervento del legislatore non può prescindere dall’analisi degli inevitabili riflessi sul rispetto del principio di reciprocità, né, aggiungo, degli errori del passato, quando l’impeto degli interventi legislativi ha determinato un decennio di assoluta confusione e di carenza di certezza nelle regole applicabili al mercato (art. 23bis, referendum acqua pubblica, sentenza della Corte costituzionale).

Ma anche l’art. 7 del DDL, merita opportune riflessioni, oltre che un ripensamento complessivo della formulazione, in alcuni punti non pienamente intellegibile. Nonostante la pandemia ci abbia restituito la consapevolezza comune di un maggior fabbisogno di trasporto pubblico, immaginare di sottrarre risorse per i servizi di TPL, penalizzando forme di affidamento ammesse dalla normativa europea e valevoli in tutta l’Unione e farlo proprio nel mentre si tenta di vedere la luce all’uscita del tunnel, non mi pare risponda ai reali bisogni del settore. Il tentativo mi pare ancor più criticabile poiché corredato da strumenti quali la responsabilità contabile dei dirigenti regionali, utili a generare un clima di tensione amministrativa, ma poco inclini ad ingenerare il completamento di procedimenti amministrativi strutturati e complessi, quali gli affidamenti di un servizio di trasporto pubblico.

I temi della transizione ecologica e digitale e della riconversione energetica sono al centro del dibattito, anche per quel che riguarda il trasporto pubblico. Si parla di una grande disponibilità di risorse con il PNRR e di obiettivi di investimento, per i quali si richiamano gli operatori a cogliere le opportunità esistenti. Allo stesso tempo si chiede ai medesimi operatori di mantenere gli equilibri economico finanziari nel corso della pandemia, facendo fronte al crollo dei ricavi. Credo, tuttavia, che occorra ricordare anche che buona parte delle gestioni attualmente in essere è in scadenza o scadrà a breve. Continuare ad ignorare questo elemento mi sembra poco lungimirante e rischia di mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNRR; occorre, quindi, nel quadro della normativa europea, incidere sulla durata dei contratti di servizio con strumenti che consentano di sviluppare gli investimenti in un congruo arco temporale idoneo a consentire lo sviluppo dei relativi ammortamenti.

VIDEOINTERVISTA DDL CONCORRENZA

VIDEOINTERVISTA INVESTIMENTI E PNRR

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